La Rotatoria

Via Cassia

Avete mai provato a percorrere la via Cassia tra la Storta e la Giustiniana direzione Roma? Alle 6,30, alle 7, alle 8 o alle 11 del mattino; alle 2, alle 4 o alle 5 del pomeriggio la scena è sempre la stessa. Una fila ininterrotta di auto a passo d’uomo. 25-30 minuti per percorrere meno di 1 km. Il tratto in questione è quello compreso tra il bivio della Cassia con la Braccianese bis e il semaforo adiacente la stazione Fr3 della Giustiniana. Il classico imbuto.

Tramontata l’ipotesi del prolungamento della Braccianese fino a raggiungere il Raccordo Anulare si è fatta strada un’idea rivoluzionaria: la rotatoria.

Perché, questo è il ragionamento della classe dirigente locale, eliminando il semaforo si fluidificherebbe il traffico. Il progetto è allo studio. È allo studio da 1 anno. Forse un altro anno ci vorrà per arrivare a qualche conclusione, probabilmente per arrivare a dire che non si può fare, che è troppo costosa, che i pedoni dove li facciamo passare, che le rotatorie sono superate, che, forse, la rotatoria in questo caso non serve a niente. Non serve a niente togliere il semaforo, perché l’imbuto rimane, perché le auto sono sempre quelle e il traffico pure.

Rassegniamoci. Non abbiamo alternative. E non servirà cambiare quartiere o mezzo di trasporto. Spostarsi in un’altra parte di Roma e poi precipitare in un altro imbuto sull’Aurelia, la Flaminia o la Salaria; sulla Tiburtina, la Prenestina o la Casilina; sull’Appia, l’Ardeatina o la Laurentina; sull’Ostiense, la via del Mare o la Portuense. In un altro quartiere dormitorio, con il suo bel (o brutto) centro commerciale – l’ennesimo “più grande d’Europa”, ma senza metropolitana, treni decenti, asili nido, scuole, piazze, parchi pubblici.

Condannati a stare in coda. Per necessità. Perché non c’è alternativa. Se non ripensare la città, per renderla “abitabile”. Come ha scritto Giorgio Cosmacini, storico della medicina, ripensare la città “può voler dire due cose: pensarla com’era, in un passato più o meno lontano, oppure pensarla come vorremmo che fosse, in un progetto di città futura” (24 feb. 2003, Corriere della Sera). Ma ci vorrebbe una classe dirigente all’altezza, seria, competente, lungimirante e disinteressata. Oltre che una cittadinanza più partecipe ai problemi comuni.

Continueremo a stare in coda.